martedì 28 novembre 2017

LASCIARE SPAZIO ALL'ALTRO



Perdere per strada il proprio "nome” è tanto difficile quanto necessario. Alcune condizioni lo favoriscono, come i sogni che facciamo mentre dormiamo o come lo stato di malattia, con la febbre alta infatti perdiamo un po’ la concezione di noi stessi...
Altre invece lo impediscono, come la paura di perdere ciò che abbiamo. L’adesione totale ad un qualsiasi tipo di ideologia, politica, religiosa, ecc..., non consente di lasciare spazio all’altro, e questo è molto pericoloso per la nostra salute. Non potendolo eliminare davvero sarà costretto ad insinuarsi nel nostro sistema psichico in forma distorta e sintomatica.
L’altro, inteso quindi come altro da noi e da quello che crediamo di essere, se ascoltato con attenzione ci consente di prendere le decisioni giuste. Quando si pensa al futuro, è bene non esagerare col porsi scopi ed obiettivi troppo precostituiti, piuttosto occorre sentire bene quell'urgenza indefinita, che ci turba, unita a un senso di indubbia importanza. L’altro si manifesta sempre come una necessità, e irrompe come qualcosa che cambia lo schema consueto. Esercita dunque la sua influenza secondo modalità irrazionali, ecco perchè è così difficile comprendere la vita, perfino la propria.


domenica 1 ottobre 2017

L’UNICITA’ DEL BAMBINO E LA BUONA SCUOLA



La buona scuola è solo quella che tiene conto dell’unicità del bambino, non ce ne sono altre.
Elenco di seguito una serie di esempi in cui la singolarità del bambino è stata palesemente ignorata dalla scuola, fallendo clamorosamente la sua missione:
Thomas Mann definiva la scuola “stagnante e deludente”.  Gandhi diceva che gli anni di scuola erano stati i più infelici della sua vita, che egli non aveva alcuna predisposizione per lo studio, e che forse sarebbe stato meglio per lui se non ci fosse mai andato”. La scrittrice norvegese Sigrid Undset disse:” detestavo la scuola con tutto il cuore! Per evitare lo studio avevo elaborato una complicata tecnica che mi consentiva di pensare ad altro durante le lezioni”. L’attore e regista Kenneth Branagh era talmente angosciato dalla scuola che a undici anni cercò di rompersi una gamba buttandosi dalle scale, per poter rimanere a casa e restarsene in pace in camera sua a leggere. John Lennon fu espulso già all’asilo.  Lo scrittore esistenzialista Paul Bowles non andava d’accordo con la nuova insegnante Miss Crane in quanto troppo autoritaria, per cui ideò un sistema per eseguire quelli che a lui sembravano compiti privi di senso evitando di svolgerli veramente: scriveva tutto come gli dicevano, ma all’incontrario. Alle scuole elementari le maestre di Albert Einstein dicevano che era un po’ ottuso, un po’ sempliciotto, non molto sveglio, che non era particolarmente bravo nemmeno in aritmetica anche se dimostrava buona volontà. Pablo Picasso non imparò mai la sequenza delle lettere dell’alfabeto e smise di andare a scuola a dieci anni perchè si rifiutava testardamente di fare alcunchè tranne dipingere.
Potrei fare tanti altri esempi, e anche se la scuola negli anni è cambiata radicalmente, non sempre il valore fondamentale dell’unicità del singolo viene rispettato.


venerdì 22 settembre 2017

QUALCOS'ALTRO



La psicologia deve per forza di cose lavorare col “qualcos’altro” che ci costituisce, cioè quel qualcosa che non appartiene ne alla natura ne alla cultura. Gli studi sui gemelli infatti dimostrano differenze nelle biografie anche tra gemelli geneticamente identici e cresciuti nella stessa famiglia.
Un noto caso, invece, di gemelli monozigoti maschi cresciuti in ambienti diversi che si rividero per la prima volta da adulti, evidenzia che i due soggetti usavano entrambi il dentifricio Vademecum, il dopobarba Canoe, il tonico per capelli Vitalis e che fumavano entrambi le sigarette Lucky Strike. Dopo quell’incontro si spedirono per posta il regalo per il compleanno, che risultò essere il medesimo regalo scelto indipendentemente in due diverse città.
Questo dimostra che a determinare l’unicità non è tanto il mazzo di carte genetico ricevuto in dono ma qualcos’altro. Questo qualcos’altro è ad esempio ben visibile nell’innamoramento. Per forza di cose, infatti, nell’innamoramento i gemelli identici perdono un po’ della loro identicità. Questo perchè l’ amore è inesorabilmente legato alle fantasie, all’aspettativa dell’ignoto. Insomma l’amore si innamora anche di qualcos’altro che è invisibile.  Il filosofo spagnolo Ortega y Gasset dice che l’innamoramento è un evento raro e fortuito che colpisce a una profondità incredibile, e quando accade, accade esclusivamente per la singolarità dell’oggetto: quella persona, non un’altra.  E questo è possibile anche perchè l’incontro tra amante ed essere amato è un incontro di immagini, un incontro con qualcos’altro.

martedì 19 settembre 2017

ELOGIO DEL SINTOMO



Quello che definiamo come “difetto” o “sintomo” è la parte più autentica che abbiamo, e non va mai criticata o giudicata, piuttosto ascoltata, in quanto rappresenta essa stessa la via per la soluzione del problema.
L’ossificazione dell’anoressica è il tentativo di sparire nella speranza di essere finalmente riconosciuti. L’anoressica non è sbagliata perchè smette di mangiare, semplicemente il suo corpo le sta dicendo che l’ Altro non la riconosce, con la conseguenza di non essere lei stessa riconoscibile a se stessa. Il sintomo dunque è già un processo di cura che il corpo mette in atto quando la psiche non riesce a mentalizzare. Per questo, molto spesso, l’attribuzione di un valore simbolico agli accadimenti somatici può aprire la strada alla comprensione del nostro problema. Prendersi cura del sintomo significa innanzitutto considerare di avere un corpo.
Un bambino, ad esempio, non può  ammettere a se stesso di non essere amato dalle figure genitoriali anche se questo fosse vero. Nel suo caso lo sviluppo di un sintomo avrebbe addirittura un valore salvifico.

mercoledì 13 settembre 2017

LA FORMAZIONE NEL FALLIMENTO



Il fulcro della formazione è il soggetto, senza soggetto non può esserci formazione. Per questo una persona non potrà mai avere la stessa formazione di un’ altra anche se le competenze e gli studi fossero identici. Inoltre perchè essa sia possibile è necessario e imprescindibile un atto di volontà da parte del soggetto.
Il culto del dialogo a tutti i costi tra genitori e figli è deleterio; i bambini  hanno bisogno di essere “tagliati” nei loro discorsi, e il punto lo devono mettere i genitori. E’ questa asimmetria generazionale che porta al conflitto  che costiuisce la base della formazione. Una problematica ricorrente è quella di genitori che vogliono essere amabili agli occhi dei loro figli, i quali conseguentemente anzichè assoggettarsi alla legge cercano di farla. Gli adulti inoltre sono spesso ossessionati dalle prestazioni dei bambini e alla minima difficoltà cambiano loro scuola. Ma procedendo di questo passo viene a mancare la dimensione fondamentale della formazione: il fallimento. Evitare al bambino l’esperienza del fallimento è controproducente. Attualmente la posizione in cui gli adulti lo collocano è al centro della famiglia, come idolo; come potrà mai, in un discorso, dare la precedenza al padre? Decidendo lui gli oggetti da possedere e di possederli subito, le parole come “attesa” o “rinuncia” non hanno per il bambino alcun significato.
La formazione, per sua natura, non può essere rappresentata da un percorso lineare, in quanto è inevitabilmente costituita anche da cadute. Un ruolo centrale lo giocano gli incontri del soggetto, che nel caso siano buoni gli aprono la prospettiva verso il mondo, nel caso siano cattivi gliela chiudono.
In ultimo, formarsi non significa “normalizzarsi”, al contrario il tesoro è collocato proprio nella “stortura” del bambino.