Con i figli in età scolare
sono tanti i genitori, in genere mamme, che cadono nel tranello dell’
“ascolto indotto”.
Con questo termine intendo
quando l’adulto subisce passivamente i racconti e le lamentele
infinite dei propri bambini, con l’ovvia buona intenzione di
sostenerli e aiutarli nelle difficoltà, ma producendo invece
l’effetto contrario.
Occorre essere consapevoli che
un figlio sano, in fin dei conti, non ha poi bisogno di così tante
attenzioni, e tutte quelle che gli diamo oltre lo stretto necessario,
anziché proteggerlo, alla lunga, lo danneggiano. Per un bambino che
sa fare il suo mestiere (e in genere tutti i bambini lo sanno fare
molto bene), la mamma (il papà o entrambi) è l’oggetto
motivazionale più grande, e in ogni dinamica relazionale che
abbiamo con lui questo bisogna tenerlo sempre presente. Insomma il
“di troppo” non va bene, molto meglio che si mangi una liquirizia
o che giochi con un amico.
La soluzione sta, dunque,
nell’ “ascolto attivo”, cioè in quei minuti di conversazione
che il genitore stesso decide di dedicargli, nei tempi e nelle
modalità che ritiene più opportune, a patto che siano con una
cadenza regolare e ben chiari anche al bambino.